Il tempo stimato per la marcia era orientativamente di un mese, ma quando domenica mancavano solo 250 chilometri alla tappa di arrivo, ovvero la capitale La Paz, la marcia si è dovuta arrestare bruscamente, trovandosi a fronteggiare la polizia con tanto di tenuta antisommossa. La motivazione ufficiale offerta dal Governo per giustificare tale schieramento contro una manifestazione pacifica, è stata che la cittadina di Yucumo, a nord est della capitale, sarebbe stata bloccata da centinaia di manifestanti favorevoli all’autostrada: compito delle forze dell’ordine era evitare eventuali scontri e garantire la sicurezza.
Cionondimeno, unanime è arrivata la condanna da parte dei manifestanti, proprio da quel mondo indigeno che era stato fondamentale all’elezione del presidente, considerato il primo leader politico indigeno a guidare la Bolivia. Evo Morales, tuttavia, ha subito cercato di mediare, facendo un passo indietro e rassicurando i nativi; ha definito “imperdonabile” l’azione di repressione violenta della polizia, proponendo la creazione di una commissione d’inchiesta per i fatti di domenica, dai quali declina ogni responsabilità.
Le dimissioni del Ministro della Difesa Cecilia Chacon sono state la conseguenza dei lanci di lacrimogeni e delle violenze che, secondo voci che tuttavia dovranno essere confermate perché per il momento non hanno alcun riscontro, avrebbero addirittura portato al decesso di diverse persone. Ma,almeno per il momento, nonostante tutto, i nativi sembrerebbero averla spuntata: la strada non si farà, ha dichiarato il Presidente Morales, quanto meno non prima di una consultazione popolare; e democratica, quindi. (fonte Ggr.rai)
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