sabato 6 agosto 2011

Da Hama a Deir Ez-Zor, il braccio di ferro tra popolo e raìs

In seguito alle manifestazioni oceaniche cominciate il 15 marzo e culminate nelle ultime settimane, il regime di Assad ha deciso di applicare anche nella Siria centro-orientale la strategia represiva già utilizzata ad aprile nella città di Deraa.
A Deir Ez-Zor, dove negli ultimi giorni si sono riversate nelle piazze più di 300.000 persone, il governo ha interrotto il servizio idrico cittadino e sta applicando un severo razionamento dell'energia elettrica per piegare la cittadinanza. Inoltre da venerdì nuovi reparti dell'esercito e della shabbyah -milizie irregolari che combattono per il governo, spesso costituite da criminali scarcerati- sono stati inviati nella città. Fonti locali riferiscono di almeno una ventina di carri armati e di decine di blindati nelle zone più popolose della città, e di reparti militari che iperversano lungo le strade, compiendo rastrellamenti e esecuzioni sommarie. Nonostante tutto la risposta della piazza non si è fatta attendere, e nuove manifestazioni hanno portato alla liberazione di centinaia di prigionieri politici arrestati nelle scorse settimane e ammassati in stadi e edifici pubblici adibiti a carceri di fortuna; i dimostranti hanno inoltre dato alle fiamme il palazzo della prefettura, costringendo alla fuga i funzioanri del governo. Ma a caro prezzo: i morti si contano a decine, anche se le cifre sono assolutamente incerte, dal momento che da giorni le forze armate impediscono che i feriti vengano curati e che i morti vengano raccolti dalle strade. E' stata purtropppo accertata la morte di un bambino di sette anni nella serata di domenica. Inoltre dalla campagna circostante giugnono notizie di tentativi di resistenza da parte della popolazione contadina, che ha eretto barricate lungo le strade per impedire il transito dei mezzi dell'esercito verso la città. Tentativi che sono costati la vita a una decina tra uomini e donne.
A Hama la situazione è ancora più drammatica: agli attacchi di truppe corazzate, artiglieria e fanteria si aggiungono bombardamenti missilistici e aerei che non possono non richiamare alla memoria la terribile repressione del 1982 che causò almeno 20.000 vittime nella città. Solo nella giornata di domenica 31 le vittime accertate sono state oltre 150 (si parla anche di 300 morti). Anche qui l'accesso all'acqua è pressoché impossibile, e lo stesso vale per la corrente elettrica.
La popolazione è fortemente provata, ma per il momento non vuole piegare la testa di fronte al nemico. Per resistere alla carenza di acqua, cibo e cure mediche si sono formati comitati e colllettivi di quartiere che razionano e distribuiscono beni di prima di necessità e forniscono cure a chi ne ha bisogno. Un sistema di auto-organizzazione già visto in Tunisia nei mesi caldi della rivoluzione, che costituisce il primo esempio di auto-governo della popolazione da decenni (il partito Ba'ath è al potere dal '63).
Una nota di speranza è stata la diserzione di 57 soldati siriani (di cui tre ufficiali) che si sono uniti al neonato Esercito Libero Siriano, che conta già da alcune settimane qualche centinaio di combattenti lungo la frontiera con la Turchia. I soldati rivoluzionari hanno già compiuto diverse azioni di disturbo e di sabotaggio contro le truppe governative, distruggendo tank e blindati e intercettando carichi di armi; inoltre risale a poche settimane fa un attacco dei rivoluzionari a una caserma d polizia nel nord del paese, che si è concluso con l'uccisione di oltre cento agenti di Assad.
La rivoluzione dunque sta raggiungendo il suo apice. Inoltre oggi inizia il Ramadan: il popolo ha annunciato che da questa sera le protste si intensificheranno, con manifestazioni notturne che quotidianamente attraversano le strade delle città.
Detto questo, alcune considerazioni e alcuni interrogativi sulla risposta della comunita internazionale al regime di Assad.
Fino a pochi giorni fa, solo Franccia, Belgio, Portogallo, Polonia e Gran Bretagna hanno formalmente condannato la repressione in Siria. Pesa come un macigno il silenzio di potenze europee quali la Spagna e l'Italia. E' vero, dopo la strage di Hama anche Frattini si è espresso a favore del popolo siriano, ma prima di domenica i morti erano già 1500, secondo le stime più prudenti. Un numero sufficiente per esprimere una netta condanna nei confronti del regime Non dimentichiamoci, poi, del viaggio di napolitano in Siria nel 2010, quando il capo dello stato ha espresso profonda ammirazione per le politiche del Ba'th. Certo, i 10.000 desaparecidos del ergime di Hafiz e del figlio Bashar, le decine di migliaia di vittime della repressione del 1982, e ancora la situazione economica drammatica, la mancanza di qualunque libertà inividuale e collettiva non inficiano la lungimiranza di un regime che è uno dei migliori acquirenti di armi europee e quindi anche italiane (la percentuale di PIL che la Siria investe nella corsa agli armamenti è spaventosa). Risale sempre al 2010 un finanziamento alla Siria dell'UE di circa 130mln di euro. Dove saranno finiti quei soldi? Chissaà, forse nei fucili e nelle pallottole che adesso falciano le vite di bambini e anziani in tutta la Siria?
L'Europa e l'Italia dovrebbero ammettere le loro colpe nell'aver nascosto la crudeltà del regime, e nell'averlo sostenuto economicamente. Napolitano dovrebbe rendere conto della sua posizione da questo punto di vista non dissimile da quella di Berlusconi nei confronti di Gheddafi.
Anche i media hanno giocato sporco in merito alla situazione siriana. Pochissimi mezzi d'informazione hanno riservato uno spazio alle vicende siriane. Al contrario la guerra civile libica e le proteste in Egitto godono di una visibilità incredibilmente maggiore. Come ha detto il ministro Tremontii con un inedito moto di sincerità, a differenza che in Libia, in Siria non c'è il petrolio. Ma i numeri della protesta e della repressione parlano chiaro: milioni di siriani (su una popolaizone complessiva di poco più di 20mln di abitanti) partecipano alle protesta, e i morti sono oltre 2000, decine di migliaia gli arrestati e i feriti, contro numeri decisamente inferiori per quanto riguarda le rivolte di Egitto.. Non è un tentativo di mettere sul bilancino i numeri delle vittime delle diverse rivoluzioni, né di misurare il sacrificio di un popolo in base al numero dei suoi caduti. Tuttavia questi dati obbligano a riflettere sull'importanza dei media e sulla loro indipendenza.
Ci sarebbe ancora moltissimo di cui parlare, ma vorrei chiudere con una riflessione sulla politica italiana, che da destra a sinistra è rimasta cieca e sorde alle sofferenze della Siria (e non solo). Unica, lodevole eccezione: alcuni membri dell'IdV hanno incontrato una delegazione di esuli siriani, chiedendo al governo e al parlamento di condannare formalmente la Siria, e di appoggiare il popolo in rivolta. Notare la totale assenza di partiti con falce e martello all'interno di questo gruppo di contatto con gli esuli. Non parliamo poi del PD, la cui assenza ovviamente non stupisce. Ma non importa: oggi in Medio Oriente, domani in tutto il mondo! Padroni democratici o libertini, presto toccherà a voi... Barra!

Aggiornato al 2 luglio 2011

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